Madre

Quando mia madre nasce a Chieti nel 1911, sua madre è già stufa di fare figli, anche se li fa sempre allattare dalla balia. 

A Marisa che arriva per terza, comunica ai suoi 10 anni che è  figlia di “uno sbaglio”.

Colpa di suo marito: nonno Felice, che deduco, essersi attardato senza saltar via, visto che é l’unico contraccettivo disponibile al tempo. 

Naturalmente, come mia nonna, ancora molti genitori fanno comunicazioni del genere in nome della sincerità, senza rendersi conto dell’effetto devastante di comunicazioni di questa fatta, i cui effetti determinano il copione del figlio che si tramandano per generazioni. I piccoli poi traducono il messaggio come un comando “io non ti voglio, tu sei un ingombro, sarebbe bene che sparissi, tu non vali niente, anzi “Non esistere”. Un’anti-accoglienza che definisce la propria esistenza. 

Donna Leonelli, così appellata a Chieti, di 4 figli, ama solo la prima: la più bella, la figlia di successo scolastico, sposa un barone.

Mia madre nelle foto della sua giovinezza porta infatti l’espressione dell’infelicità, di non-amata, salvo quando nuota o scia.

Be’, se non altro la nonna non aveva il mito del maschio, forse perché tra i suoi ascendenti materni e teramani, c’era Melchiorre Delfico, un protagonista della Repubblica Napoletana, che nel 1827 mandava ad un’amica contessa una lettera-pamphlet a difesa delle donne, la cui condizione era a dir poco drammatica. Un John Stuart Mill italiano.

Mia nonna, nobile da parte di madre Delfico, ma dal patrimonio ormai consunto, aveva trovato in nonno un buon partito: ricco, figlio unico di un costruttore, laureato in medicina a Roma, colto e socialista, amico di Matteotti, aimè. Il nonno Leonelli abita a Chieti, è uno specialista otorinolaringoiatra, specialità  poco diffusa ma molto utile visto che tonsille e adenoidi si estirpano quasi a tutti, in studio, quello dentro casa, e senza anestesia (traumi indelebili per i bambini spesso ingannati dai genitori con promesse di gelato).  

La vita é  quella che ruota nella città tranquilla: il nonno al circolo, e Donna Leonelli con le amiche della San Vincenzo.

Quando mamma ha 17 anni nel ’28, si scopre improvvisamente che suo padre ha ormai perso al bacarat tutte le campagne con i poderi, le case e metà del bel palazzo alla Villa comunale dove vivono.

La nonna è sopraffatta dalla vergogna. Bisogna lasciare la città. Il nonno non può più fiatare.

Trovano uno studio a Pesaro e ci si trasferiscono. Marisa decide che lavorerà invece di aspettare un marito, e si fa’ maestra cominciando in destinazioni remote sugli Appennini.

Poi, quando nel 1944 Marisa confesserà di essere incinta di un ebreo che non si sa dove sta (la Linea Gotica ha diviso a metà l’Italia e non ci sono più comunicazioni), la nonna decide che tocca fuggire. Il disonore si è spalmato sulla famiglia Leonelli e mio nonno che tenta di obiettare è  zittito, visto che non ha più il diritto di parola visto ha perso il patrimonio: Donna Leonelli decide: si torna a Chieti appena possibile.

Mamma è sola e spaventata. L’unica amica che può starle vicina al momento del parto abita a 70 km da Pesaro. É l’Alba Fagioli, una collega maestra elementare zitella, che abita a Mercatello sul Metauro, un paesino di pietra, tra le montagne, ai confini con l’Umbria, la Toscana e la Romagna, dove allarga le sue capacità  protettive all’intera comunità, compresa mia madre che aveva iniziato lì a fare la maestra elementare.

 L’Alba, ribattezzata da me piccola: Baba, sarà per me l’amorevole, e sicuro rifugio negatomi dalla nonna.

E’ questa la ragione per cui le amiche e gli amici sono gli affetti più importanti e sicuri dei parenti. 

La fine della guerra è  il periodo peggiore: non ci sono più mezzi di trasporto, neppure le biciclette che vengono requisite, ma mamma è gagliarda e sportiva e con uno zainetto militare in spalla e col pancione ci va a piedi, guardando i fiumi freddi, perché i ponti sono minati.

Il 17 gennaio 1945 atterro al mondo in un freddo boia.